Ancora una volta traggo spunto da un interessante articolo di Luigi Odello, riportato di seguito, che in pratica propone quesiti che spesso mi sono posto anch'io leggendo o ascoltando in varie occasioni più o meno ufficiali, un pò per lavoro e tanto per curiosità e passione, le varie disquisizioni sul vino e le spiegazioni infarcite di terminologia "specifica" rivolte ad un pubblico il più delle volte non solo costituito da addetti ai lavori. Questo spesso, concordo perfettamente, crea molta confusione e Odello fa un esempio tra i tanti. Il mondo vinicolo spesso si affida per comunicare ad un "vocabolario" che, sono d'accordo anche in questo, sarebbe ora di rendere più fruibile ai tanti che amano il vino ma non hanno certo bisogno di essere chiamati a "tradurre" termini ed espressioni specialistiche non sempre molto chiare. Un bel "sasso nello stagno" quello lanciato dal Centro Studi Assaggiatori, i cui sviluppi leggeremo volentieri nel numero autunnale della rivista L'Assaggio.
"Impettito e rituale, il sommelier è al secondo giro del bicchiere: lo fa ruotare con consumata abilità facendo lambire al vino il bordo superiore, ma senza che una sola goccia abbia a trabordare. La descrizione del profumo l’ha già eseguita con eloquio fluente e colorito, ora ne preleva un sorso, modellando la bocca come se dovesse baciare, e sentenzia: “Bel vino, abboccato …”.
Il signore della prima fila lo incoraggia con un cenno del capo: avverte il dolce richiamato con l’aggettivo. La signora a lui vicina intende però tutta un’altra cosa e trova il sommelier un poco… sboccato. Neppure il terzo della fila è d’accordo: per lui abboccato significa di gran corpo e deve riservarsi alla descrizione dei rossi.
Insomma, se fosse possibile mettere in evidenza con dei fumetti i pensieri dei presenti in sala si scoprirebbe che il vocabolo “abboccato” è stato interpretato come: gustoso, con una discreta dose di zucchero, morbido, con leggera tendenza al dolce, facile da bere, piacevole, che si beve, corposo, appena dolce, dolce e morbido al palato, tra amabile e dolce, con grado zuccherino superiore ai 50 g/L, leggermente dolce, che ha preso aria (ossigeno), morbido, di gusto pieno.
Siamo quindi ben lontani da avere, di fronte a questo termine gergale, un’univoca produzione di senso. E così succede per altre decine di parole che normalmente vengono usate con appagante piacere dai professionisti del mondo del vino: è quanto ha messo in evidenza una ricerca del Centro Studi Assaggiatori tutt’ora in corso.
Andando a vedere le definizioni riportati in manuali di degustazione scritti da professionisti del vino e/o in uso presso le associazioni dedite alla valutazione sensoriale del prodotto la situazione non è certo migliore.
Tre sono quindi le domande che ci poniamo: è davvero necessario parlare di vino in termini gergali? È giunta l’ora di mettere un po’ d’ordine nel vocabolario enologico? Un nuovo stile nel parlare di vino potrebbe migliorare la comunicazione del prodotto?
Già sul prossimo numero de L’Assaggio, quello dell’autunno, affronteremo l’argomento."
Luigi Odello
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