Pagine

venerdì 30 dicembre 2011

DISTILLERIA BOCCHINO: LA STORIA DELLA GRAPPA PIEMONTESE

                                 
Un  restyling per bottiglie ed etichette di  SIGILLO NERO e GRAN MOSCATO firmate dalla celebre distilleria  di Canelli (AT)

Correva l'anno 1898 quando iniziarono a fumare gli alambicchi della Distilleria Bocchino. Prima di allora le vinacce di uva moscato e di altri vitigni  ottenute dalle molte cantine che vinificavano in zona, venivano abbandonate e disperse sulle rive del torrente Belbo che attraversa Canelli, senza essere utilizzate.
Il geometra Carlo Bocchino, di ritorno dall'Argentina, dove aveva diretto la costruzione di importanti vie di comunicazione, decise di creare, con un capitale iniziale di 90.000 lire, la distilleria, che avrebbe ben presto segnato un percorso vincente per l'immagine e la qualità della grappa, il più italiano dei distillati, che si può denominare così solo se prodotto nel nostro paese.
Azienda di famiglia,  oggi è guidata da Carlo Micca Bocchino, che porta il nome del fondatore, affiancato dalle figlie Miranda e Marta. La sede storica è quella  in via Lazarito Bocchino, intitolata al figlio del fondatore, che diede grande impulso all’attività. Qui si trovano anche le imponenti cantine di invecchiamento, con le botti di rovere di Slavonia da sempre utilizzate nel ciclo produttivo.  Il reparto distillazione è nel vicino comune di Calamandrana.

Restyling è un termine anglosassone ormai entrato stabilmente anche nel nostro vocabolario, significa in sostanza un’innovazione nella continuità, senza stravolgimenti particolari, ma nella ricerca di un’immagine sempre a passo con i tempi ed accattivante per l’acquirente finale.
E’ quanto ha messo in pratica la Distilleria Bocchino, tramite l’apporto di qualificati designer internazionali, che dopo lunghe ricerche hanno “ridisegnato” le  storiche fiasche, da  almeno un secolo simbolo della sua produzione, mantenendone comunque la particolarità che le contraddistingue sugli scaffali tra le tante proposte del mercato.
Anche le etichette, già oggetto negli anni di graduali modifiche, si propongono ora, dopo accurati studi, in versione  ancora più moderna ed elegante.
Le differenze si notano falcilmente vedendo una pubblicità dei primi anni '80 che riportiamo di seguito,  con Mike Bongiorno, celebre testimonial  per anni della produzione Bocchino, che innalza un fiasca di Sigillo Nero.
Le due grappe   sono storicamente ben presenti, anche nella GDO,  sul mercato nazionale ed esportate in molti Paesi. Ottenute dalla distillazione con alambicchi discontinui, con il metodo Carlo Bocchino, rappresentano da sempre la  ricerca qualitativa e di origine al centro dell’attività

La grappa Gran Moscato nasce esclusivamente da vinacce selezionate di uve Moscato Bianco di Canelli, affinata per 24 mesi in botti di rovere di Slavonia da 5.000 litri.
Prima tra le grappe uscite dagli alambicchi del fondatore Carlo Bocchino, è certamente uno dei distillati in purezza dalla tradizione più antica. L’inconfondibile aroma del Moscato e la morbidezza esaltate dal sapiente invecchiamento, rendono questa grappa sempre attuale e perfetta per le tendenze di consumo contemporanee.

Sigillo Nero è una grappa che racchiude l’essenza del vigneto Piemonte. Nasce infatti da selezionate vinacce di uve rosse di celebri vini piemontesi:Barbera d’Asti, Nebbiolo, Dolcetto d’Alba, Un perfetto connubio che, dopo un affinamento di 12 mesi in grandi botti di rovere di Slavonia,  offre una grappa delicata, dal gusto secco e pulito, che da decenni  è la più diffusa tra quelle firmate Bocchino, ottenendo un costante successo.
Per la prima volta nella sua già lunga storia, la grappa Sigillo Nero aggiunge ai suoi formati abituali   da litro e cl.70 quello da cl. 50, che completa l’offerta disponibile per un prodotto leader di mercato, affiancandosi al litro ed al cl.70. Tutte  presentate nella bottiglia/fiasca di nuova generazione. Un “mezzo litro” che viene incontro alle nuove tendenze dettate da molti consumatori, orientati verso l’acquisto di questi formati ridotti nel contenuto , specie nell’ambito dei distillati e dei liquori.




giovedì 29 dicembre 2011

GELATO ARTIGIANALE: la differenza qualitativa c'è e vale la pena imparare a valutarla

 
Giorgio Zanatta, gelatiere artigianale pluripremiato a livello nazionale ed internazionale


Il consumo di gelato,  che in Italia vanta una tradizione antica ed un’immagine esportata in tutto il mondo,  si è destagionalizzato da tempo, anche se ovviamente le punte massime rimangono  tra la primavera e l’estate.E' un alimento completo, consigliato anche da nutrizionisti in caso di inappetenza, inoltre piace praticamente a tutti, da zero a cento anni. Ognuno poi sceglie i gusti che preferisce o ne sperimenta dei nuovi, l'offerta è talmente vasta da accontentare chiunque.
Per le festività di fine anno  famiglie e locali lo propongono spesso  in pranzi e cenoni, sono un dessert tra i più gettonati, con preferenza in questi casi ai gusti "classici" tipo panna, crema, nocciola, cioccolato o alla frutta.
Si incrementa  sempre più il numero delle gelaterie e la “nuova frontiera” risulta ormai essere l’apertura nei centri commerciali, dove è grande l’affluenza di pubblico, il più delle volte composto da nuclei familiari con bambini al seguito, il target che rimane di riferimento per il settore,
Ma tutte queste gelaterie si possono davvero definire “artigianali”?  La differenza sostanziale sta nelle materie prime utilizzate, nella loro tracciabilità e nel fatto che l’autentico artigiano gelatiere non utilizza abitualmente  “semilavorati”.
Per intenderci, non è che nelle gelaterie che utilizzano questi preparati industriali, oggi spesso facenti parte di catene in franchising o simili, il gelato non sia corretto dal punto di vista organolettico, è semplicemente “diverso” a livello gustativo.
Un esempio tra i tanti, citando due gusti in cima alle preferenze del pubblico come nocciola e pistacchio: un conto è un gelato la cui preparazione è dichiarata con i pistacchi siciliani di Bronte e dintorni e con le Nocciole Piemonte IGP, che sono al vertice qualitativo ed inimitabili per gusto e profumi, altro è l’utilizzo di semilavorati prodotti con pistacchi e nocciole provenienti dall’estero o da altre regioni italiane che, notoriamente, non sono la stessa cosa per gusto e profumi.
Come per tutto il comparto alimentare.  c’è poi  da porre massima attenzione ai prezzi di vendita. Se sono troppo bassi viene  da sospettare seriamente, specie parlando di produzione che si definisce “artigianale”,  che gli ingredienti utilizzati non siano i migliori sul mercato. 
Chi ha assaggiato un gelato o sorbetto fatto con frutta “vera” afferra sicuramente meglio il concetto sopra espresso.
Diffidare anche da gelati con colori troppo "accesi", attirano forse di più l'attenzione dei consumatori, ma spesso per ottenere queste tinte forti si utilizzano coloranti.
Giorgio Zanatta, “Maestro gelatiere” nato a Treviso nel 1968, è arrivato ad Asti nel 1999 dove ancora risiede. Il suo curriculum lo pone ai vertici della categoria e lo ha visto premiato in prestigiosi concorsi nazionali ed internazionali. E’ stato membro, tra l’altro, dell’Accademia della Gelateria Italiana e dell’Unione Maestri Gelatieri Artigiani. A livello locale è presidente provinciale del CNA  alimentari di Asti.
Dal 2007 fa parte del gruppo di lavoro del Maestro Gelatiere internazionale Pino Scaringella, che opera in Italia e all’estero. Fa anche parte del team formativo dei ragazzi Down del progetto “Albergo Etico” di Asti.
Lo abbiamo incontrato alla Gelateria Veneta di Piazzetta Italia ad Asti, aperta fino all’Epifania e poi da aprile a settembre, dove svolge attività di consulente.
Ci ha descritto con dovizia di particolari le caratteristiche peculiari per distinguere un gelato artigianale di qualità che abbiamo già ricordato  per sommi capi e poi ha parlato della sua attività di insegnante nei corsi specialistici, che gli consente di svolgere il proprio lavoro divertendosi, creando un team capace di dare il meglio.
In questo settore la creatività è importante?
“Certo,  ma come ho fatto e continuo a fare occorre lavorare sempre sulla propria crescita professionale, puntando sull’eccellenza, ponendosi sempre in discussione senza vergogna. Ho frequentato negli anni importanti corsi di perfezionamento in Italia ed all’estero e non si ha mai finito d’imparare.
La formazione è dunque consigliabile?
Direi che  è fondamentale, ad esempio occorre imparare  perfettamente la “bilanciatura” della ricetta per ottenere un gelato di qualità elevata, sapendo valutare l’esatta percentuale dei componenti. Si migliora con l’esperienza pratica, ma occorrono comunque basi solide di insegnamento, come in qualsiasi campo.
Qual è il rapporto di un gelatiere artigianale col territorio in cui opera?
Per me è sempre stato importante e fonte di ispirazione. Nel gennaio del 2000 mi sono classificato primo al Concorso Gelato del Millennio, nell’ambito del Salone Internazionale della Gelateria (SIGEP) di Rimini,  con il “Sorbetto al Moscato d’Asti”. Una mia creazione che ho anche brevettato come ricetta, ma che poi continua ad essere copiata, anche se in fin dei conti solo le cose migliori vengono imitate. Spesso ho anche creato gelati legati  ad altri vini astigiani e sono stato premiato per il gelato al gianduja che è un po’ il simbolo della cioccolateria subalpina”.
Ma il consumatore è in grado di distinguere la qualità di un gelato artigianale autentico rispetto alle produzioni semi-industriali o industriali?
Occorre lavorare sull’educazione al gusto del consumatore  e per questo organizziamo anche degustazioni nelle scuole, partendo dai bambini che devono essere abituati fin da piccoli ad apprezzare le differenze . Poi in occasione di Fiere e Saloni internazionali e nazionali, compresi quelli aperti all’alimentare in genere e non solo alla gelateria, molte degustazioni servono a fare apprezzare il vero gelato artigianale  ad un pubblico di interessati di tutte le età.
Ed a proposito di differenze, abbiamo assaggiato a fine incontro con Zanatta qualche cucchiaino di gelato alla nocciola, pistacchio e cioccolato…..la  qualità  superiore dovuta all’accurata scelta delle materie prime e lavorazione accurata si apprezza immediatamente al palato.....
Per saperne di più:    www.maestrigelatieri.it






giovedì 22 dicembre 2011

Nascono i "Narratori del Vino" nuove figure professionali in un mondo che vuole esprimersi in modo nuovo

Sono sempre interessanti le notizie che arrivano  da Luigi Odello, che dirige il Centro Studi Assaggiatori di Brescia. Qui parla di una nuova figura professionale nel mondo vinicolo da poco introdotta, manco a dirlo, in quei di Alba: "I Narratori del Vino", potrebbe in effetti trattarsi di una "nuova frontiera" della comunicazione del settore, sempre che questi giovani possano poi trovare sbocchi lavorativi sufficentemente remunerati e qui, spiace dirlo, qualche dubbio mi sovviene.....

 

Che ne dite di parlare di vino in modo nuovo?


Mauro Carbone, direttore dell’Ente Turismo Alba Bra Langhe e Roero ha annunciato compiaciuto il raggiungimento di due traguardi storici: la collaborazione tra vino e turismo e tra Alba e Asti. Lo ha detto in occasione della presentazione di Piemonte on Wine che si è svolta giusto ieri al Castello di Barolo con l’intervento del presidente della Barolo and Castles Foundation Cornaglia, del presidente del citato ente del turismo Barbero, del direttore dei consorzi di tutela Barolo e Barbaresco Ferrero, dell’assessore al turismo di Asti Martinetto, del responsabile della strada del Barolo Manzone e dell’assessore ragionale al turismo Cirio. Questo per dire che le autorità che governano il vino e il turismo c’erano proprio tutte.
Ma se, come ha detto Carbone, l’evento segna una svolta storica nella collaborazione tra ambiti culturali e geografici diversi, per noi la svolta sta in un altro fatto: la presentazione dei Narratori del vino. Si tratta di una figura professionale nuova che è stata creata ad Alba con un impegnativo corso di formazione al quale il Centro Studi Assaggiatori ha fornito la docenza di una nuova analisi sensoriale: quella che consente di presentare il vino e il territorio in un modo innovativo, più partecipativo e coinvolgente, più emozionante e giocoso.
Il gruppo albese di questi professionisti inediti è davvero splendido: giovani, laureati, poliglotti e appassionati non mancheranno di rendere un grande servizio al comparto enologico ricevendo e facendo conoscere il prestigio enologico di Langhe e Roero senza mai salire in cattedra, ma mettendo al centro dell’attenzione il cliente, portandolo ad avere un nuovo rapporto con il territorio che nasce dalla percezione cinestesica del vino e dalla relazione umana con un nuovo comunicatore.
Alberto Cirio, giovane assessore al turismo della Regione Piemonte, langarolo di Sinio, ha giustamente sottolineato la missione di questo gruppo inserendola in quella politica di valorizzazione del territorio che risulta determinante per la crescita anche in tempi difficili.

Luigi Odello

sabato 26 novembre 2011

Occorre spendere una fortuna per bere buoni vini?


In questi giorni si svolge a  Verona la fiera del lusso Luxury and Yachts”, che presumo sia frequentata da  un buon numero di soggetti ben inquadrati dalla recente pubblicità di un’auto a prezzo abbordabile (o giusto?) che rispondono al venditore che lo ricorda: solo?  Ma io volevo spendere molto di più….”.
Queste fiere non mi scandalizzano più di tanto, ci sono sempre stati e ci saranno sempre nel mondo i cosiddetti 
“big spender” che tradurrei prosaicamente  in “spendaccioni”, oggi “nuovi ricchi” in gran parte di Paesi “emergenti” disposti a sborsare cifre folli, per i comuni mortali, nei più vari settori, vini e cibo compresi. L’Italia  riesce a sviluppare, nonostante i tempi di vacche magre globalizzati, fatturati notevoli nell’export verso questi “big spender”, nella moda, gioielli degni di regine, auto fuoriserie, nautica, antiquariato di alto livello  e quant'altro e quindi nulla da eccepire.
Se non coprissimo questo settore con l’indubbia classe e creatività del
Made in Italy  lo farebbe qualcun altro e già capita in parte con le  molte contraffazioni, comprese quelle alimentari, non solo cinesi.
Tuttavia, pensando al mercato “nazionale” le esagerazioni procurano qualche legittimo “fastidio”, specie in questo periodo non proprio florido per le tasche dei più,  come vedere il listino di un sito dedicato alla vendita di  vini esclusivi, nel quale il vino più a “buon mercato” supera abbondantemente 1.000 euro  la bottiglia, beninteso per il formato da cl. 75,  perché per il magnum occorre il doppio, Iva e trasporto escluso.
Riporto con piacere l’articolo di  
Luigi Odello, enologo di rango e fondatore e direttore del Centro Studi  Assaggiatori di Brescia,  che ricorda che non è necessario spendere cifre esorbitanti per bere bene.

Come risparmiare 70.000 euro e bere bene

E’ di questi giorni l’analisi del portale Italianwineboutique.it nella quale viene messo in evidenza che c’è gente capace di spendere fino a 70.000 euro per una bottiglia di vino. In testa gli asiatici (cinesi e indiani) e i sudamericani (brasiliani e venezuelani).
Ebbene sì, devo ammetterlo, pur occupandomi di vino da decenni per percorso curriculare e professionale, non mi sono mai aperto una bottiglia da 70.000 euro. Ma la cosa più scandalosa è che non ne sento neppure la necessità, ben sapendo che simili follie riescono a produrre eccitazione solo se si conosce l’etichetta e il relativo prezzo, perché di vini sensorialmente fantastici se ne trovano a prezzi decisamente inferiori.
Ammetto anche un’altra cosa: questi vini mi stanno antipatici. Rappresentano uno schiaffo alla povertà, un’ode alla volgare ostentazione, la peggiore ammissione di ignoranza enologica.
Sì, perché chi ama davvero il vino sa leggerlo con l’anima, sa cogliere tutte le sfumature, gode della qualità della materia prima e della maestria utilizzata nella sua elaborazione. Per fare questo ha solo una strada: imparare ad assaggiare. Ma per quanto siano costosi i corsi da sommelier e da assaggiatore, di un eventuale budget da 70.000 euro può risparmiarne gran parte per concedersi un buon bicchiere di vino, anche di un grande vino, per tutti i pasti della sua vita.
In questi giorni è pure uscita la Guida Vini 2012 di Altroconsumo che, ancora una volta, mette in evidenza come non ci sia una correlazione costante tra il livello di appagamento sensoriale di un vino e il suo prezzo.
Consultatela: anche questo è un suggerimento su come risparmiare 70.000 euro e bere bene.
Luigi Odello


venerdì 25 novembre 2011

IL FUTURO DELLA PIZZA RISIEDE NELLA PROFESSIONALITÁ E NELLA QUALITÁ DELL'OFFERTA



NELL'AMBITO DELLA V EDIZIONE DI PIZZA UP
LA PIZZA PER L'ITALIA RISPECCHIA LA TIPICITÁ LOCALE NEL NUOVO CONCETTO DI PIZZERIADINAMICA®


Potrebbe sembrare scontata l'affermazione che
Il futuro della pizza risiede nella professionalità e nell'utilizzo di materie prime di alta qualità, emersa  nell'ambito della V edizione di PizzaUp, il Simposio tecnico sulla pizza italiana organizzato da Università della Pizza® e svoltosi a Vighizzolo d'Este (Pd) dal 21 al 23 novembre. In realtà non sempre nelle pizzerie che capita di frequentare queste prerogative sono applicate ad arte.
Dalle Alpi a Pantelleria la pizza è cibo abituale per una grandissima parte delle persone: uomini e donne, adulti e bambini. La pizza viene consumata non solo nelle pizzerie, ma anche acquistata moltissimo nei supermercati, surgelata o pronta e solo da scaldare. E' il fast-food per eccellenza tricolore, il più noto al mondo, ma la differenza qualitativa tra le tante proposte c'è ed è utile che il consumatore sappia valutarla, come per tutti gli altri cibi. 
Intanto che sia cotta nel forno a legna è già un fattore determinante per la qualità, poi ce ne sono altri che non sto ad elencare ma che spesso "saltano agli occhi" oltre che al palato. Personalmente sono portato alla "classicità" nel senso che non amo molto le pizze troppo elaborate e ricche di ingredienti "supplementari" che spesso le rendono poco digeribili....ma questo ovviamente dipende dai gusti personali ed ovviamente dall'abilità del pizzaiolo....


Tornando a Pizza UP 60 pizzaioli provenienti da tutta l'Italia si sono confrontati per tre giorni sul tema della pizza sperimentando nuovi abbinamenti, topping innovativi, cotture e lievitazioni. Con loro il cuoco e pasticcere Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto, che per l'occasione ha ideato dieci ricette innovative, e una giuria di cinque giornalisti che, con il comitato tecnico di Pizza Up, ha costruito un dibattito sul futuro della pizza e ha giudicato il futuro di questo prodotto del Made in Italy.

La pizza esprime il patrimonio storico e culturale italiano: nel corso del tempo si è fortemente diversificata ed è stata modellata dalle differenti culture gastronomiche che si esprimono sul nostro territorio. La tradizione gastronomica italiana vanta estro, cultura, varietà e soprattutto un elevatissimo livello tecnico capace di trasformare un unico ingrediente come la farina, in mille modi diversi facendo scoprire le differenti sfaccettature dello stesso elemento.
Proprio su questo tema nell'ambito di PizzaUp i partecipanti hanno lavorato tre giorni sperimentando, su differenti tipologie di pizza e cottura, ingredienti tipici del territorio italiano. E così la pizza in teglia, quella alla pala, al padellino, la stesa e la pizza della tradizione campana sono diventate espressione e simbolo di una "Pizza per l'Italia", di un prodotto che vuole essere la risposta alla nuova richiesta di una pizza gourmet e di qualità sulla scia di quanto ha fatto negli ultimi anni il precursore di questo fenomeno, Simone Padoan.

Sotto la guida di Corrado Assenza, la supervisione tecnica di Simone Padoan, l'immancabile e indispensabile regia di Marco Valletta e la direzione tecnica degli impasti di Federica Racinelli sono state ideate, elaborate e realizzate nuove ricette proprio durante i lavori del Simposio: Bufala e pompelmo rosa; Caprina ceci e profumo di mare; Sgombro capperi e patate; Baccalà e cavolfiore al profumo di timo; Acciughe, pomodoro e pan grattato; Peperoni e olive schiacciate; Bufala, porro, olive e pomodori; Polenta e robiola di Roccaverano Arbiora; Carciofi, pecorino e pepe nero macinato al momento; Pasta di salsiccia di suino Cazzamali e fiordilatte.

"Il nos
tro intento - ha dichiarato Corrado Assenza - è stato quello di utilizzare ingredienti semplici e non costosi, capaci di rispecchiare quella tradizione gastronomica che rende unica l'Italia. Ingredienti con un apparato nutrizionale corretto, capaci di esprimere gusto e leggerezza, come nel caso della farina Petra: il gusto del grano esalta i sapori della pizza, li valorizza e li rende indimenticabili. Il lavoro che abbiamo fatto in questi giorni è stato quello di provare a raccontare l'Italia con materie prime differenti ma fortemente legati alla cultura e alle tradizioni di un popolo, lavorando sulla filiera corta e sulla memoria gustativa che ci appartiene".

Le 10 portate della degustazione "Una pizza per l'Italia" sono state servite ai cinque giornalisti della giuria Eleonora Cozzella, Renato Malaman, Paolo Marchi, Paolo Massobrio e Luciano Pignataro nella pizzeria-scuola realizzata all'ultimo piano dell'ala antica del Molino Quaglia in un contesto industriale in disuso che oggi rivive per accogliere i nuovi corsi dell'Università della Pizza®.

"Questa pizzeria-scuola è un
ica in Italia - ha dichiarato Piero Gabrieli, ideatore assieme a Chiara Quaglia del simposio PizzaUp - ed è stata realizzata con attrezzature e arredi di sala pensati per un contesto che sarà insieme un luogo dove consumare le pizze del futuro e dove allenarsi alle tecniche di pizzeriadinamica®, che saranno insegnate proprio qui ai pizzaioli innovativi dal prossimo mese di febbraio. Un percorso di formazione teorico-pratica unico nel suo genere, che rivoluziona la produzione e il servizio della pizza, abbassa i costi di produzione e dà vita ad un assortimento pensato per i nuovi stili di consumo alimentare. Una diversità che si vedrà fin dal primo corso, perché di giorno si affronteranno i temi teorici, nel pomeriggio si affronteranno le sessioni pratiche e la sera gli allievi serviranno in tavola le loro realizzazioni a clienti veri. Una simulazione perfetta di lavoro a vista, capacità di comunicare con il cliente e sviluppo delle tecniche di gestione delle obiezioni".

Il prossimo appuntamento con i pizzaioli dell'Università della Pizza e con PizzaUp sarà nell'ambito della edizione di Identità Golose a Milano (5/7 Febbraio 2012).

Per maggiori informazioni www.pizzaup.it

giovedì 27 ottobre 2011

Antonino Cammarata ed i suoi solari paesaggi siciliani dipinti in diretta web



Dopo un'estate che sembrava non finire mai, con 30 gradi  a Torino ai primi di ottobre, che a queste latitudini non si erano mai registati nel periodo da quando esistono i rilevamenti (metà del '700), siamo ritornati alla  normalità dell'autunno con le temperature che si abbassano, i riscaldamenti accesi nelle case, le giornate sempre più corte e l'umore che tende ad uniformarsi al clima.....

Personalmente ho un rimedio per non piombare totalmente nel grigiore stabile imminente di questa stagione e sono un paio di bei dipinti dell'amico Antonino Cammarata, che hanno portato nella mia collezione la luce ed i paesaggi di Sicilia, terra che mi piace moltissimo per la  natura,  il mare, il clima sempre mite anche in inverno, le persone, enogastronomia, storia, cultura e monumenti. Ho messo queste mie preferenze in ordine sparso, perchè francamente non saprei fare una classifica di queste doti.
Antonino  è un artista professionista, dal 1985 la sua pittura   solare ed immediata, lo ha portato ad essere apprezzato non solo nella sua terra,  ma in tutta Italia ed all'estero.
Anni addietro, quando Internet muoveva ancora i primi passi e non era diffuso come ora, ha avuto un'idea geniale, che poteva permettersi  però, allora come oggi,  solo chi sa usare il pennello come lui....:
ha piazzato una web-cam a fianco del suo cavalletto e dipinge "in diretta"  video sul suo sito. Tutto da vedere il suo lavoro e piacevole da scoprire.
Questa novità fece parlare di lui mezzo mondo e la rete è diventata per questo artista un punto di riferimento anche per vendere e spedire ovunque i suoi lavori. 
Non sto a riportare  tutto  il bel curriculum di Antonino, che potete leggere sui suoi siti (ne ha anche altri) , ma mi piace ricordare che più di recente ha iniziato a realizzare anche dipinti, come sempre in prevalenza olio su tela, con la difficile tecnica "a spatola" ,che esalta ancor di più  la matericità dei colori e l'intensità dei paesaggi vividi che contraddistinguono la sua opera, anche se non dimenticherei il buon  livello delle  sue nature morte. 
Portarsi in casa la luce mediterranea ed i suoi colori in fondo non costa molto......
Collegatevi  a www.artecammarata.com 
 e troverete come me una persona speciale!

 Antonino Cammarata

 .

giovedì 20 ottobre 2011

Quella Barbera d'Asti che piace in Canada......



La Barbera d’Asti  Superiore Cascina Fonda San Nicolao 2005 ed il Barbaresco Riserva 2005 dell’azienda vitivinicola Clemente Guasti e Figli di Nizza Monferrato, inseriti nel listino dei vini  “top” del monopolio canadese (LCBO)


A partire dagli anni '90 a molti era sembrato, a cominciare da gran parte dei giornalisti più o meno noti ed estensori di guide,  che la Barbera  cosiddetta "tradizionale" avesse fatto il suo tempo e che  soltanto lunghe soste in barrique potessero farla entrare nel novero dei vini più celebrati. Cambiano i tempi ed anche le "mode" , dalle quali il settore vinicolo non è mai stato esente...anzi. Ci sono stati comunque  anche nell'Astigiano e non solo nella zona di Barolo, dei produttori storici che non si sono lasciati attrarre più di tanto dalle sirene dei vini a "tutto legno" ed hanno continuato a proporre Barbera selezionate, affinate in botte grande, che non temono il tempo, anzi migliorano dopo anni anche in bottiglia ed hanno quelle caratteristiche che fanno la differenza rispetto ai vini da vitigni "internazionali" tipo Merlot e Carbernet. che tendono ad assomigliarsi molto a qualsiasi latitudine vengano prodotti. Mantenere una linea coerente con la propria storia e metodo di lavoro alla fine premia  ed un nuovo e  prestigioso riconoscimento, in campo internazionale, è arrivato per l’azienda vitivinicola Clemente Guasti e Figli di Nizza Monferrato, guidata dai fratelli Andrea ed Alessandro Guasti.
Due suoi vini sono stati  inseriti  a listino,  lo scorso  15 ottobre,   dal  monopolio Canadese (LCBO), nella sezione Vintages, dedicata  esclusivamente ai vini  importanti e  di annate meno recenti.  Lusinghiera la scheda pubblicata, che descrive le loro ottime caratteristiche organolettiche.
Si tratta  del Barbaresco Riserva 2005 e  di  Cascina Fonda San Nicolao 2005 Barbera d’Asti Superiore,  quest’ultima in particolare fiore all’occhiello da sempre, per qualità ed immagine, della Cantina nicese, che ha sempre dedicato molta attenzione alla Barbera, protagonista della viticoltura del territorio.
Clemente Guasti, nell’immediato dopoguerra, creò  infatti per primo le Barbere “di cascina” col nome ben preciso in etichetta e prodotte vinificando esclusivamente le uve provenienti dagli specifici vigneti. Un'attestazione di precisa provenienza da vigneti molto vocati,  poi imitata da molti altri produttori. Era la strada giusta ed a distanza di tanti anni viene giustamente premiata.

sabato 15 ottobre 2011

“LE RICETTE REGIONALI ITALIANE” DI ANNA GOSETTI DELLA SALDA


DI NUOVO IN LIBRERIA UNA PIETRA MILIARE DELLA CULTURA CULINARIA

Pubblicato per la prima volta nel 1967 dalla Casa Editrice Solares, giunge alla diciassettesima edizione: in distribuzione nelle librerie dal 7 ottobre

Libri di cucina con ricette ne esistono moltissimi, forse anche troppi. Ultimamente ci si cimentano nel settore anche molti giornalisti o presentatori che "cavalcano" l'onda della loro popolarità televisiva, ottengono così ottimi riscontri di vendita di libri sui cui contenuti preferisco non fare commenti....
Assieme all'Arte di Mangiare Bene di Pellegrino Artusi questo volume rappresenta invece una pietra miliare della cultura gastronomica italiana. Più che un semplice libro di ricette è uno spaccato di storie e culture dell'Italia intera.

S'intitola “Le Ricette Regionali Italiane”, ed è il famoso libro di Anna Gosetti della Salda, distribuito nelle migliori librerie d'Italia dal 7 ottobre, nella sua diciassettesima edizione, curato come sempre dalla Casa Editrice Solares.
Nelle case italiane dal 1967, anno della prima edizione, questa preziosa opera ripercorre le regioni italiane all'insegna del gusto e della tradizione, ed è divenuta il modello di riferimento per i successivi ricettari. Le preparazioni sono riportate con la maggior fedeltà possibile e scritte tenendo conto delle reali possibilità di una cucina media italiana degli anni '60. Le ricette, inoltre, sono state tutte provate, nel solco di una metodologia che l'autrice aveva già formalizzato alla guida della rivista “La Cucina Italiana”, di cui Anna Gosetti della Salda è stata direttrice dal 1952 al 1981, e che ha rappresentato una delle maggiori fortune di questo periodico.
Nelle 1204 pagine dell'elegante volume sono racchiuse 2174 ricette, suddivise per regione nella classica partitura “antipasti e salse” “minestre (asciutte e in brodo)”, “pesci”, “verdure”, “piatti di mezzo” e “dolci”.
Il libro è in vendita al prezzo di 49 euro, che a qualcuno potrà  sembrare una cifra non bassa, ma posso garantire che sono soldi ben spesi rispetto ai tanti libri modaioli e "televisivi" in auge. Personalmente ho in libreria una vecchia edizione, ma ho constatato più volte quanto sia utile ed interessante ancor oggi.
A volere questa nuova edizione, che giunge a sei anni dalla precedente, l’architetto Alessio Brando Ravà, parte integrante di un entourage di “famiglia” caro ad Anna Gosetti.
La nuova edizione de “Le Ricette Regionali Italiane” rappresenta il primo tassello di una più ampia comunicazione, in fase di avviamento, a cominciare dalla creazione di un sito (www.edizionisolares.it ) e altre iniziative.
“Un lavoro di ben quattro anni: due volte il giro gastronomico attraverso l'Italia. Tutto questo per perfezionare questa raccolta di ricette regionali, attingendo a fonti ben precise ed attendibili - scrive l'autrice nella prefazione della prima edizione - Da chilometro a chilometro anche la ricetta più tradizionale può variare, perché ogni famiglia la elabora a modo suo e naturalmente ognuna ritiene valida la propria preparazione. Ricerca quindi non solo di ricette, ma di persone che ne fossero le fedeli e riconosciute depositarie, assicurandomi la possibilità di poter riproporre delle esperienze gastronomiche assolutamente autentiche e originali. Cibi che corrispondono ad un clima, ad un costume, che a volte non si possono neppure concepire oltre i limiti geografici del loro consumo, ma che sono spesso irripetibili”.
Il risultato di questo lavoro è un manuale che supera le dimensioni del semplice ricettario, pur basando la sua fortuna anche sulla schematicità e semplicità nella stesura delle ricette, per diventare fotografia viva della cucina italiana. Una fotografia che, pur nell'evolversi della cultura gastronomica, non perde nitidezza ed è estremamente attuale in un'epoca che tende a riscoprire le radici, il chilometro zero, e quindi l'autenticità della cucina italiana legata ai prodotti dei suoi territori.



venerdì 7 ottobre 2011

Organizzare i vini per "stili", ognuno per un tipo di cliente. Con risultati di vendita immediati.

                                                         Manuela Violoni



Il marketing del vino è notoriamente  tra i più complicati da gestire, causa una serie di ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare in questa sede.
Per questo  motivo studi ed approfondimenti in proposito, possono rivelarsi molto utili  ai produttori, nella ricerca di un approccio organizzativo  moderno dell’offerta al consumatore finale da consigliare agli esercenti.
Centinaia di referenze a listino, come affrontarle per venderle tutte? La Sdc, società distributiva del gruppo Lekkerland, ha adottato l'organizzazione dei vini per stili, ognuno per un tipo di cliente. Con risultati di vendita immediati.
Ne parla  
Manuela Violoni del Centro Studi Assaggiatori  di Brescia, in questo interessante  articolo che consiglio di leggere con attenzione a tutti gli interessati.

Vendere il vino, ma con stili

Centinaia di clienti, dalle drogherie alle macellerie agli ambulanti. Un assortimento di centinaia di referenze a listino, di ogni tipologia, denominazione e prezzo. Qual è il rischio? Che ogni venditore, a seconda di background, formazione e preferenze, familiarizzi maggiormente con una parte del listino e in qualche modo si specializzi nel venderla al meglio; a discapito però delle referenze meno note.
Un approccio diverso consiste nel suddividere il listino in parti, organizzandole in modo che acquisiscano un significato e sia più facile orientarsi al loro interno. È come organizzare una biblioteca: un elenco di libri casuale è poco utile, in ordine alfabetico è già qualcosa, per argomenti è decisamente più applicativo.
Quale criterio utilizzare per organizzare dei vini? Il sistema più classico va per tipologie (bianco o rosso, fermo frizzante o spumante, da pasto o da dessert…) e per territorio. Ma anche così le referenze per gruppo sono molte, ed è facile scegliere sempre le stesse.
Il metodo scelto dalla Sdc rivoluziona questo approccio. Il listino viene suddiviso in unità complete di ogni tipologia, che possono essere proposte a un cliente come un pacchetto completo; ma ogni pacchetto è studiato per una certa tipologia di cliente in base allo stile. Ogni gestore ha il suo stile, che si riflette nell’aspetto e nella gestione del suo locale o negozio, nella scelta dei prodotti che fa e di conseguenza nella clientela che sceglie di frequentarlo. Saper riconoscere lo stile di ogni cliente e consigliare prodotti coerenti significa facilitare al cliente la scelta e la vendita al suo pubblico e di conseguenza vendere meglio.
Il lavoro ha quindi implicato diverse fasi: innanzitutto la divisione del listino in stili di vino, trasversali alle tipologie e ai territori. Gli stili si intendono come dei criteri sensoriali di preferenza: un vino rosso fermo può piacere perché è elegante e sofisticato o perché è rude e sincero, a seconda di chi lo consuma. Per capire quali caratteristiche fanno di un vino un prodotto elegante o rude e quale tipo di pubblico le preferisce ci si è basati sulla ricerca dal Centro Studi Assaggiatori sulla personalità sensoriale dei prodotti, compiuta nell’arco di otto anni attraverso test sul consumatore e di laboratorio. Il risultato è stato l’individuazione di un assortimento completo di vini per ognuno dei seguenti stili: raffinato, tradizionalista, pratico, deciso, rude. Il kit di vendita è corredato inoltre da un questionario che permette di individuare facilmente lo stile del cliente attraverso l’aspetto del negozio e il suo assortimento, il comportamento del gestore e il tipo di clientela che frequenta il luogo, suggerendo le argomentazioni di vendita più adatte. Il progetto è culminato in una giornata di formazione ai quaranta venditori, che ha illustrato il listino in modo pratico attraverso l’analisi sensoriale (compiuta alla cieca su scheda) e la spiegazione di una serie di 16 vini rappresentativi di ogni tipologia e stile.
Commenta così Antonio De Bellis, Marketing Director presso Sdc-Lekkerland, i risultati a cui ha portato questa nuova metodologia di vendita: “A due mesi dall’effettuazione del corso, si è verificato un aumento significativo della base dei clienti trattanti la merceologia vino: +9,4% il dato ad anno mobile, con un conseguente aumento delle vendite breve periodo e delle prospettive di crescita strutturale”.
                                                                                       Manuela Violoni
 Altre informazioni ed approfondimenti su
www.assaggiatori.com


giovedì 6 ottobre 2011

101 COSE DA FARE IN PIEMONTE ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA


             IL PIEMONTE COME NON L’AVETE MAI VISTO
                                   Interessante libro scritto da Sarah Scaparone
Il Piemonte è una terra dai molti paesaggi, dalle mille identità, dalla cultura e dai sapori che hanno fatto storia. Le montagne sono l’essenza di gran parte del territorio. Le colline sono il cuore delle Langhe, del Roero e del Monferrato. Le pianure richiamano alla mente le risaie vercellesi. I laghi sono perle paesaggistiche capaci di stupire per loro diversità. E poi ci sono i fiumi, come il largo e lungo Po, che qui nasce e racconta con i suoi argini storie diverse di una stessa gente. Ma il Piemonte è anche luogo di insediamento romano, crocevia di culture diverse, terra di forte influenza francese eppure profondamente italiana, culla del Risorgimento e sede della prima capitale. Ancora oggi tutto ci racconta questo passato: dalle residenze sabaude ai castelli, dai musei alle fortezze, alla struttura delle città. È terra vocata alla religiosità: custodisce la Sacra Sindone, ospita abbazie, pievi romaniche e sacri monti. Senza dimenticare i sapori: i dolci tradizionali apprezzati in tutto il mondo, i vini e la cucina. Una regione ricca di tradizioni popolari, di folclore e di musica che aspetta solo di essere scoperta.

SARAH SCAPARONE, laureata in Lettere moderne, è nata a Torino dove vive e lavora. Giornalista professionista free lance, collabora con diverse testate nazionali legate al mondo dell’enogastronomia. Appassionata di cucina, viaggi e buone letture, racconta e fotografa tutto ciò che la emoziona e da sempre ama scoprire la vera anima dei luoghi e delle persone che incontra sul suo cammino.
Ecco alcune delle 101 cose da fare in Piemonte almeno una volta nella vita

 Rilassarsi nelle storiche terme di Acqui sorseggiando un Brachetto

Perdersi tra castelli e dimore storiche

Passare una giornata con i trifulao in cerca del pregiato tubero

Scoprire che il Piemonte è anche il regno della birra artigianale

Ripercorrere la Via del Sale

Scorrazzare in vespa tra Langhe e Roero

Comprendere come un pizzicotto possa essere tanto gustoso

Ascoltare il silenzio dell’Isola di San Giulio

Ritrovare se stessi al Monastero di Bose

Meravigliarsi davanti a un “mare a quadretti”

PP. 288 circa
NEWTON COMPTON EDITORE
Euro 14,90

ISBN: 978-88-541-3306-8

                                                   Sarah   Scaparone

giovedì 29 settembre 2011

PALAS CEREQUIO nel cuore della zona del Barolo. Una grande realizzazione firmata Michele Chiarlo


Un'iniziativa importante, non solo per la zona del Barolo ma per tutto il Piemonte. Questa nuova struttura ricettiva diventa un punto di riferimento  per il turismo internazionale legato ai grandi vini ed ai loro territori. Si troveranno, oltre al Barolo firmato da Michele Chiarlo anche quelli dei più noti produttori dei vari "crus" che costituiscono il fiore all'occhiello del celebre vino piemontese, esportato in tutto il mondo.

Fondendo tradizione e moderne tecnologie, la Michele Chiarlo ha ristrutturato un’antica borgata nel cuore del Barolo, realizzando un Palas con diverse suite dotate di tutti i confort per il benessere fisico e interiore. Un “piccolo mondo” immerso nei vigneti che celebra ed esalta la cultura del prestigioso vino italiano, in cui potersi ritrovare e regalare momenti di puro piacere.

IL LUOGO
Vigneti a perdita d’occhio, pace e la tranquillità di una terra che nasconde i suoi beni più preziosi tra i filari delle silenziose colline. Tradizione, vocazione e l’operoso lavoro di generazioni di contadini. Sono questi gli ingredienti che hanno plasmato e riempito di vita uno dei luoghi più vocati al mondo per essere la culla di un grande vino italiano: il Barolo. Una terra dove tutto è concepito per essere vissuto e assaporato con calma, e il cui cuore millenario e vivo, a La Morra, ha un nome preciso: Cerequio.

IL CAVEAU
Non poteva che essere questa borgata, quindi, costituita da pochi fabbricati inseriti in un tipico contesto agricolo delle Langhe, il luogo in cui, da qualche anno, ha trovato casa il Caveau di Cerequio, vera e propria “banca” del Barolo. Qui sono conservate oltre 6000 bottiglie, divise in lotti, che ripercorrono la storia del Barolo dal 1958 a oggi, protette da un ambiente a temperatura e umidità controllata che ospita anche la collezione di grandi misure (storici Magnum e Jeroboam), la storia del Barolo con il Libro del Fantini e la campana di Cerequio.

IL PALAS CEREQUIO
A proseguire e completare il discorso iniziato con il Caveau, arriva, oggi, il Palas Cerequio.
Il nome, “Palas”, è un termine piemontese che indica il “palazzo di lusso”, e la reinterpretazione che ne è stata fatta a Cerequio ha mirato a creare un sito di cultura delle Langhe, in cui il vino è il protagonista silenzioso che accompagna gli ospiti in un viaggio verso il benessere e l’interiorità.

LA VITA
Immersi in un mare di generosi vigneti, i tre fabbricati di antica origine agricola che lo compongono sono stati completamente ristrutturati mantenendo da un lato la loro originaria vocazione, come segno tangibile di appartenenza a un territorio e di riconoscenza verso chi da sempre lo abita con operoso rispetto, dall’altro aprendosi all’avvenire e alle nuove tecnologie. Delicatezza e rispetto sono state le parole chiave del progetto, che non ha voluto appesantire di irriverenti segni ciò che la natura ha così magnificamente costruito.
L’ambiente è valorizzato al massimo attraverso l’uso di luce, tecnologia e materiali primari, elementi che fanno da contesto a un mondo fatto di piaceri, armonie, sensazioni e giochi di equilibrio ed emozione; nel rispetto di una natura e una tradizione che rimane il punto focale da condividere con l’ospite, coinvolgendolo.

PASSATO
Di questo connubio antico e sempre nuovo, il passato è rappresentato dal palazzo padronale di Palas Cerequio, risalente al 1781 e viva testimonianza delle linee forti ed equilibrate del barocco piemontese. In questo contesto sono state ricavate quattro suite (con superfici dai 36 ai 60 mq), ognuna composta da zona giorno, zona notte, area welness e servizi. Tradizione e natura si fondono a innovazione e tecnologia negli ampi spazi con i pavimenti in graniglia lavorata e nelle pareti rivestite in boiserie, creando un’atmosfera avvolgente che mette l’uomo al centro. Bagno turco, vasca, doccia e area relax soddisfano tutte le esigenze degli ospiti, siano esse di carattere fisico o interiore, cullandoli con proiezioni emozionali che interagiscono sia con l’ambiente interno sia esterno: una sorta di continuità nella suite delle meraviglie che la natura del territorio circostante è capace di offrire.

FUTURO
Il futuro si sviluppa, poi, negli altri due fabbricati, uno originariamente adibito a ricovero di attrezzi agricoli, l’altro destinato a deposito. Anche qui sono state realizzate delle unità abitative (di 58 mq, impostate su due livelli) che mantengono i tratti architettonici originali, essenziali ma avvolgenti e mai distaccati, integrandoli con materiali di impronta moderna attinti dal territorio. Il pavimento è in pietra di Luserna e alcune porzioni di pareti sono realizzate in mattone vecchio recuperato dalla ristrutturazione della Borgata. Anche qui bagno turco, sauna, vasca idromassaggio e doccia sensoriale creano un “micro-mondo” in cui immergersi per sanare le esigenze del corpo e della mente, mentre le immagini che scorrono sul muro riportano emozioni di elementi naturali, quasi come se in essi si fosse fisicamente immersi.
Nel secondo fabbricato è stato recuperato anche il piano terreno per realizzare un locale a uso cucina, reception e ritrovo per gli ospiti.
All’esterno, l’intervento ha previsto anche la dotazione di una piscina a sfioro, e di un giardino di spazi disegnati con fiori, piante ed essenze che sembrano crescere naturalmente con elementi quali le “Topie” , pergole che creano zone di luci e ombre.
Molta attenzione è stata data, fin dalla fase progettuale, al risparmio energetico, con l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda, e pompe di calore a gas GPL per il riscaldamento e raffrescamento dei locali.

I CRU
Il legame con il territorio, segno distintivo del lavoro che da sempre Michele Chiarlo porta avanti in ogni sua iniziativa, è ribadito, infine, anche dai nomi scelti per ciascuna suite di Palas Cerequio, ovvero quelli dei Crus di Barolo: Cerequio, appunto, ma anche Cannubi, Brunate, Vigna Rionda, Rocche, Bussia, Villero, Ginestra e Rocche dell’Annunziata. A rappresentare e ribadire il connubio perfetto che mira a coinvolgere e soddisfare ogni senso degli ospiti, i Cru di Barolo sono rappresentati, all’interno delle suite, dai quadri di Giancarlo  Ferraris, mentre, per toccare con mano i frutti della terra che circonda a perdita d’occhio le camere, ci sono le grandi bottiglie dei migliori produttori provenienti da ciascun Cru.
Per il Cerequio, vero e proprio “padrone di casa” del Palais, le bottiglie sono firmate da Chiarlo, Boroli, Damilano, Voerzio, Gaja e Batasiolo.
Gli ambasciatori del Cru Cannubi, invece, sono Sandrone e Giuseppe Rinaldi, mentre per il Cru Brunate sono Elio Altare e Marcarini.
Massolino e Pira firmano le bottiglie di Vigna Rionda; Ceretto e Brovia quelle del Cru Rocche, Aldo Conterno e Prunotto del Cru Bussia.
Al Cru Villero danno lustro i prodotti di Vietti e Cordero di Montezemolo, così come fanno quelli di Ratti e Conterno Fantino per il Cru Ginetra.
A Ratti e Paolo Scavino, infine, spetta il compito, di rappresentare al meglio il Cru Rocche dell’Annunziata

Tutte le informazioni, tariffe, filmati e fotografie sul sito
www.chiarlando.it

PALAS CEREQUIO galleria fotografica

martedì 27 settembre 2011

Si chiama "Canelli" il nuovo dolce dedicato al Moscato creato da Luca Montersino

Presentato in anteprima domenica scorsa alle Cantine Contratto, in occasione della manifestazione “Canelli: la Città del Vino”

La città  spumantiera  può vantare un nuovo e  squisito dolce a lei dedicato. Si chiama infatti “Canelli” ed è stato appositamente creato dal celebre pasticcere Luca Montersino, che lo ha presentato in anteprima,domenica  25 settembre, presso le Cantine  Contratto, in occasione della manifestazione “Canelli: la Città del Vino”.
Il dolce è  dedicato al Moscato, vitigno principe del territorio. La ricetta  è  a base di una mousse di moscato, aspic di fichi e pesche con un fiocco di cioccolato al latte.
La novità ha subito incontrato l’entusiasmo dei numerosi visitatori che affollavano le storiche cantine di Via G. Giuliani. Una squisitezza (nella foto sotto) che aiuterà i golosi ad addolcire la vita nel migliore dei modi, perfetta amalgama di ingredienti , esaltata dalla creatività di Montesino.
Ad inizio novembre, in occasione della Fiera Regionale del Tartufo, "Canelli" sarà nuovamente a disposizione con il suo autore, ospite d'onore della manifestazione.

Luca Montersino è pasticcere di fama internazionale. Nato  nel 1973,  vive ad Alba con la moglie che lo affianca nell’attività.  Dal 2001 a fine 2004 è stato Direttore dell'Istituto Superiore di Arti Culinarie "Etoile" di cui ancora fa parte come Docente di Pasticceria dolce e salata. Alla fine del 2004, ispirato dal suo istinto e dalle sue convinzioni circa la necessità di un recupero dei valori e degli ingredienti genuini della pasticceria di qualità, crea ad Alba "Golosi di salute", la prima pasticceria salutistica.
Il successo è enorme e viene subito scelto  dalla RAI per la trasmissione "La prova del cuoco".  Montersino è anche  autore di numerosi libri di cucina, molto curati nelle immagini e nei contenuti, ha aperto mel frattempo  pasticcerie in tutto il mondo ( Tokjo,New York ), oltre  a quella di "Eataly" a Torino, dove riscuote puntualmente un grande successo di pubblico.Recentemente è passato alle trasmissioni gastronomiche di Sky

martedì 20 settembre 2011

Il 27 settembre esce “IO NON SONO GIUSEPPE VERDI”, il disco d’esordio di ANDREA GIOPS

                                                                   Andrea Giops

Una piacevole sorpresa questo debutto discografico di Andrea Giops, volto biricchino e voce di bella personalità.
"Mai più" è una canzone ben strutturata, sia nella parte musicale che nel testo, non banale ed al tempo stesso immediato. Motivo e ritornello sono orecchiabili, il che non guasta affatto per un interprete che molti accostano al''indimenticato Rino Gaetano e scusate se è poco.....in ogni caso questo brano mi piace e vi invito ad ascoltarlo con il video clip che trovate  in  fondo, realizzato anch'esso con buona professionalità e con quella dose di simpatia che di questi tempi fa piacere. Credo che sentiremo ancora parlare di questo interprete, che per altro ha già un curriculum di tutto rispetto e ha attirato l'attenzione di molti personaggi importanti della musica leggera italiana, a cominciare da Dori Ghezzi con "Nuvole Production" , etichetta creata da Fabrizio De Andrè, che per me rimane un punto di riferimento imprescindibile nella storia della canzone d'autore.  

Attualmente in radio il primo singolo “MAI PIÙ”

 Il 27 settembre esce “IO NON SONO GIUSEPPE VERDI”, il disco d’esordio di ANDREA GIOPS prodotto da Nuvole Production, l’etichetta voluta da Fabrizio De André e diretta da Dori Ghezzi. Per la prima volta, dopo numerose pubblicazioni dedicate al grande e indimenticabile De André, Nuvole Production sceglie di credere in un artista lontano dal mondo del cantautore genovese e di produrlo avvalendosi di un team di professionisti di cui fa parte anche Luvi De André. Attualmente è in rotazione radiofonica “MAI PIÙ”, il primo singolo estratto dal disco.
L'etichetta Nuvole Production nasce nel 1990 e fino ad oggi ha pubblicato esclusivamente raccolte di Fabrizio De André, alcune delle quali di notevole successo, come “In direzione ostinata e contraria” volume 1 e 2.  Ha pubblicato inoltre il video del famoso concerto che De André tenne, nel febbraio 1998, al Teatro Brancaccio di Roma, e il docu-film “Effedia”, curato da Teresa Marchesi.


Andrea Gioacchini, in arte ANDREA GIOPS, nasce a Melzo (MI) il 31 luglio del 1980. Muove i primi passi nella musica verso i 16 anni, imparando a suonare la chitarra e abbozzando arrangiamenti con il computer. A 20 anni crea la sua prima band sperimentando principalmente sonorità funky e rock.

Nel 2003 si avvicina alla musica reggae, in particolare a Bob Marley e alla musica giamaicana prodotta tra gli anni 70 e i primi anni 80. Con il demo Face The Music, cantato in lingua inglese e distribuito gratuitamente in internet, esordisce nel mondo della musica. Grazie a questo primo lavoro, e al successivo Natural Born Natty (prodotti insieme ad Alessandro Soresini, noto batterista della scena reggae italiana), Giops viene in contatto con grandi personaggi della musica reggae internazionale come the Wailers. La band giamaicana rimane colpita dalla sua interpretazione e concezione della musica reggae (denominata “roots” dagli appassionati), inusuale per un italiano, ed incuriositi invitano Andrea ai loro concerti in Italia.  In particolare Junior Marvin, storico chitarrista di Marley, prende a cuore la sua causa, e decide di dargli una mano indicandogli contatti discografici del circuito reggae internazionale. Nel gennaio del 2009 Giops decide di rimettersi in gioco e di avvicinarsi alla musica italiana. E, quasi per gioco, partecipa ai provini del programma televisivo X Factor dove viene notato da Morgan che lo sceglie come concorrente. X Factor lascia ad Andrea un forte bagaglio di esperienza e consapevolezze su se stesso, con le quali torna a concentrarsi sulla musica italiana. Quasi un anno dopo, nel dicembre 2009, viene proclamato uno dei vincitori di SanremoLAB, l'accademia del Festival di Sanremo, con un brano da lui composto ed arrangiato. Nel febbraio 2010 prende invece parte al progetto Ostinati e Contrari, spettacolo teatrale-musicale sulla poetica di Fabrizio De André organizzato dalla  ONLUS musico-terapica La Stravaganza che riceve un riconoscimento dal Presidente della Repubblica e una medaglia come premio di rappresentanza per la passione e l’impegno civile.





Il video di "Mai più"