Dopo le denunce presentate da Coldiretti, la Commissione Europea
intenzionata a bloccare i wine kit.
Da tempo imperversavano sul mercato degli inquietanti "wine kit“ rivolti al consumatore finale per "produrre" in casa propria "vini" con polverine chimiche.
Per favorire l'acquisto da parte di un pubblico non certo composto da chi ama il vino autentico, invitandolo a giocare "al piccolo enologo", procurandosi se va bene un bel mal di pancia, si sfruttano le denominazioni più note.
Ora la vicenda potrebbe concludersi, almeno nella UE, ma dimostra che l'attivismo dei creatori di vini farlocchi non è mai stato archiviato.
Per favorire l'acquisto da parte di un pubblico non certo composto da chi ama il vino autentico, invitandolo a giocare "al piccolo enologo", procurandosi se va bene un bel mal di pancia, si sfruttano le denominazioni più note.
Ora la vicenda potrebbe concludersi, almeno nella UE, ma dimostra che l'attivismo dei creatori di vini farlocchi non è mai stato archiviato.
Produrre vini con l'ausilio della chimica è storia non nuova, i sofisticatori sono sempre stati molto attivi in materia, ma arrivare addirittura al "kit" forse ha passato quel confine atto a scatenare sacrosante reazioni da chi il vino lo produce in modo naturale.
"Il pronunciamento della Commissione Europea c'è stato –
dichiara il presidente provinciale Coldiretti di Asti, Roberto Cabiale – ora occorre
provvedere immediatamente al ritiro dall’intero mercato comunitario dei
“miracolosi” wine kit che promettono con semplici polveri di ottenere in pochi
giorni vini dalle etichette più prestigiose. Accogliamo favorevolmente le
dichiarazioni del Commissario Europeo all’agricoltura Dacian Ciolos,
aspettavamo una risposta su quello che consideriamo un vero scandalo”.
La risposta del Commissario è arrivata in seguito ad una
interrogazione parlamentare: “la Commissione è stata informata delle pratiche
commerciali a cui si fa riferimento nell’interrogazione e, durante l’ultima
riunione del Comitato di gestione dell’OCM unica, ha provveduto a informare le
delegazioni degli Stati membri che tali pratiche violano le norme in materia di
etichettatura nel settore vitivinicolo stabilite dalla legislazione europea. La
Commissione ha precisato che i prodotti in questione non possono essere commercializzati
utilizzando una denominazione di origine protetta (DOP) o un’indicazione
geografica protetta (IGP), nemmeno attraverso una semplice evocazione del nome.
Gli Stati membri devono adottare tutti i provvedimenti necessari a prevenire
l’uso illecito del nome di una DOP o di un’IGP ritirando dal mercato tali
prodotti”.
Coldiretti stima che nei diversi Paesi dell’Unione Europea
almeno venti milioni di bottiglie di pseudo vino vengano ottenute attraverso
wine kit prodotti in Canada ma anche in Svezia. Nel Paese scandinavo è stata
scoperta una fabbrica che, a Lindome, vicino a Goteborg, produce e distribuisce
in tutto il continente e del tutto indisturbata oltre 140mila wine kit all’anno
dai quali si ottengono circa 4,2 milioni di bottiglie.
I wine kit della società Vinland vengono venduti con i marchi
Cantina e Doc’s che fanno esplicito riferimento alla produzione italiana, ma
anche ad un marchio di qualità tutelato dall’Unione Europea, e promettono in
soli 5 giorni di ottenere in casa vini come Valpolicella, Lambrusco, Sangiovese
o Primitivo, per i quali vengono addirittura fornite le etichette da apporre
sulle bottiglie. Una evidente anomalia sulla quale si è impegnato ad
intervenire anche il vicepresidente della Commissione Agricoltura del parlamento
Svedese Bengt-Anders Johansson ai microfoni di Jimmy Ghione della trasmissione
Striscia la Notizia.
Coldiretti ha scoperto, seguito e denunciato tutta la vicenda
del vino in polvere, il presidente nazionale Sergio Marini da giorni attendeva
una risposta: “Abbiamo chiesto alle autorità nazionali di intervenire
immediatamente anche attraverso l’Unione Europea per fermare uno scempio
intollerabile che mette a rischio con l’inganno l’immagine e la credibilità dei
nostri vini più prestigiosi conquistata nel tempo grazie agli sforzi fatti per
la valorizzazione di un prodotto che esprime qualità, tradizione, cultura e
territorio”.
“Si tratta di un esempio eclatante – rimarca il presidente
Cabiale che è anche un produttore vitivinicolo - della superficialità con cui
troppo spesso in Europa si trattano i temi della qualità alimentare e della
trasparenza dell’informazione ai consumatori sull’origine e sui processi che
portano gli alimenti sulle nostre tavole. Il vino si fa con l'uva prodotta in
vigna e trasformata nella cantina e va eventualmente invecchiato secondo
precise regole e non si ottiene certo con le bustine in polvere dalle quali si
realizzano miscugli che non hanno neanche il diritto di chiamarsi con il nome
del nettare di bacco”.
Coldiretti Asti, per altro, in questi anni ha lavorato molto
per accrescere il livello qualitativo dei vini del territorio, ha promosso
addirittura la nascita del Centro Studi Vini del Piemonte, che ha sede a San
Damiano d'Asti, e giovedì prossimo a Vesime si appresta a divulgare i dati
della nuova annata con l'Anteprima della Barbera d'Asti.
“Purtroppo – sottolinea Cabiale – tutti i nostri sforzi
rischiano di essere vanificati da situazioni come queste, i vini in polvere
sono una vera truffa e motivo di disorientamento di ogni iniziativa di
promozione e di marketing nei confronti del consumatori. Contiamo vivamente che
presto si ponga la parola fine a questo scempio, un vero furto di identità per
il vino”.
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