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martedì 17 maggio 2016

Un "CLUB ALBAROSSA", dedicato ad un vino che guarda al futuro


 Il gruppo dei partecipanti al Club Albarossa

Al Circolo della Stampa di Torino, l’Albarossa Club ha presentato  il progetto, che coinvolge giovani ristoratori e artisti piemontesi, pensato per promuovere il “nuovo” vino autoctono piemontese. Un vino ottenuto nel 1938 dal prof. Giovanni Dalmasso, riproposto 15 anni fa dalla Tenuta Cannona e portato avanti con convinzione da cinque importanti  Case vinicole  

È una storia lunga e molto bella quella del vino Albarossa, protagonista indiscusso della giornata di mercoledì 11 maggio iniziata con un pranzo allo storico ristorante Cambio di Torino e proseguita con una degustazione / presentazione al Circolo della Stampa, in cui i cinque produttori che hanno fortemente creduto, ormai 15 anni fa, al progetto Albarossa, hanno messo a disposizione per una degustazione ragionata  le loro bottiglie e raccontato il progetto che coinvolge giovani ristoratori e artisti pensato per promuovere la conoscenza di questo vino.

 
UNA STORIA PIEMONTESE
L’Albarossa è un vino autoctono dal DNA assolutamente piemontese. Si tratta, infatti, dell’incrocio di due dei vitigni più rappresentativi della regione: la Barbera e il Nebbiolo. La sua nascita è datata 1938, grazie alla felice intuizione del prof. Giovanni Dalmasso, docente di viticoltura e Preside della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino.
Quindici anni fa la Tenuta Cannona (organo sperimentale della Regione Piemonte) lo ripropose con l’obiettivo di creare interesse intorno a questa realtà.A credere fin da subito nel progetto sono stati soprattutto cinque noti  produttori: Castello di Neive, Banfi, Marenco, Michele Chiarlo e Bava, rappresentativi   di altrettante  importanti  zone vitivinicole del Piemonte.
Una caratteristica particolare del vitigno Albarossa, infatti, è proprio quella di poter essere impiantato in tutta l’area vinicola che attraversa Langhe, Monferrato e Roero, ponendosi come primo esempio di vino che unisce tutto il territorio. Proprio per questo si è scelto di effettuare la sua presentazione nel capoluogo di Torino.
QUALITÁ E POTENZIALITÁ
Albarossa è un vino che ha mostrato fin da subito enormi potenzialità. A distinguerlo, in vigna, è un grappolo dagli acini molto piccoli e con vinaccioli piuttosto sviluppati. Questo ha creato qualche difficoltà per tarare nella giusta maniera pressatura, durata della fermentazione e tipo di affinamento, ma i risultati fanno capire bene quanto il lavoro sia stato fruttuoso e quanto l’Albarossa, pur nelle diversità delle lavorazioni e delle caratteristiche date dai diversi terreni di coltura, riesca ad affermare delle qualità comuni che lo fanno distinguere e apprezzare come vitigno pronto a ritagliarsi un suo spazio importante nell’enologia internazionale.
Tra queste qualità sicuramente spicca il colore violaceo molto intenso, l’ottima capacità di invecchiamento e profumi molto accattivanti e inaspettati in un vino piemontese, che, però, si abbinano bene ai piatti della tradizione gastronomica, incontrando il consenso unanime del pubblico, specie all’estero.

UN PROGETTO LUNGIMIRANTE
Ed è proprio per iniziare a comunicare in maniera forte e decisa tutte queste qualità che si è costituito l’Albarossa Club, con l’unione dei cinque produttori e diversi ristoratori non solo decisi a proporre nella loro carta dei vini l’Albarossa, ma anche disposti ad ospitare serate particolari dedicate a questo vino. Il progetto presentato a Torino, infatti,  prevede proprio di promuovere l’Albarossa attraverso alcune serate ad hoc, nelle quali il vino sarà abbinato ad alcuni piatti dell’alta gastronomia piemontese, mentre a rendere indimenticabile l’esperienza penseranno gli artisti che, di volta in volta, saranno chiamati a nobilitare ancor più le occasioni di “incontro” con l’Albarossa.
I ristoranti nei quali si svilupperanno le serate sono: Il Belbo da Bardon, Steria Terzo Tempo, Ristorante Piazza Crova 3, Ex ViginMudest, Stefani Paganini, Il Vascello d’Oro, Nuovo Pariso, Quartino Divino, I Caffi, Il Moncalvo, Locanda San Martino, Ristorante Cicinbarlichin, Angolo delBeato, Locanda del Bosco Grande, Cavallo Scosso.
Tra gli artisti che parteciperanno alle serate, invece, ci saranno l’attore Simone Coppo, la cantautrice Chiara dello Iacovo, il chitarrista Tommaso Conte, il pianista Fabio Giacchino, il dj Andrea Margiotta.

 
UNA PRESENTAZIONE DI PRESTIGIO
Due di questi artisti, il pianista Giacchino e l’attore Coppo, si sono esibiti anche durante l’incontro torinese, allietando con le loro performance un pomeriggio davvero interessante e piacevole, nel quale i cinque produttori di Albarossa hanno raccontato e fatto degustare le loro bottiglie. Il tutto, in abbinamento ad alcuni finger food preparati dai ristoranti dell’Albarossa Club.
Ad aprire le danze dei racconti e degli assaggi è stato un breve filmato realizzato proprio per spiegare le linee essenziali del progetto Albarossa Club e le caratteristiche principali di questo vino già definito: “L’autoctono piemontese che piace al mondo”.
A prendere la parola, quindi, sono stati via via i rappresentanti delle cinque cantine che per prime hanno creduto nel progetto.
I CINQUE PRODUTTORI
Il primo vino degustato  è stato l’Albarossa Castello di Neive 2013. Italo Stupino ha illustrato il proficuo e duraturo rapporto che lega l’azienda all’Università di Torino, spiegando come sia proprio da lì che è partita l’avventura dell’Albarossa. Un’avventura che ha già permesso al prodotto della cantina in provincia di Cuneo di entrare, al primo assaggio, tra i vini scelti dal Monopolio del Quebec per la distribuzione nella provincia canadese.
Il secondo assaggio è stato dedicato all’Albarossa Banfi 2013. La grande azienda vinicola dal “cuore toscano” ma “l’anima piemontese” ha raccontato di essere rimasta da subito colpita, già dalle prime micro vinificazioni, dalla personalità spiccata del vino. Da qui la scelta di investire sul progetto e optare per un’interpretazione di Albarossa che strizza particolarmente l’occhio ai gusti dei consumatori internazionali, esaltando la fruttuosità e la morbidezza e scegliendo di invecchiare il vino in botti da 350 litri, più grandi delle tradizionali barrique.

Analogo entusiasmo quello mostrato da Marenco di Strevi, terzo produttore a far assaggiare il suo Albarossa 2013. Anche in questo caso è stato sottolineato l’investimento fatto ma, anche, l’immediata fiducia che i primi assaggi hanno subito fatto crescere. Le prime vinificazioni sono state fatte senza passaggio in botte ma, successivamente, proprio per seguire la spiccata personalità di Albarossa, si è scelta la strada di una vinificazione per il 50% in botte grande e per il 50% in barrique.

Quindi è stata la volta dell’Albarossa  Michele Chiarlo 2012.
A prendere la parola in rappresentanza della cantina di Calamandrana è stato Alberto Chiarlo, che ha spiegato come al vino sia stato dedicato il vigneto più “scenografico” dell’azienda, le cui vigne disposte ad anfiteatro campeggiano anche sull’etichetta disegnata, come sempre, dal maestro Giancarlo Ferraris.
Ultimo a essere servito l’Albarossa Bava 2011, della Cantina di Cocconato. Un vino di due anni più maturo rispetto ai primi provati, che ha potuto dare una prima dimostrazione di come Albarossa si presti molto bene anche all’invecchiamento, grazie alla sua profondità di profumi, aromi e a un tannino decisamente importante ma mai stucchevole.
 
CENNI DI STORIA
Prima dei saluti c’è stato tempo anche per il racconto di Roberto Paglietta, Ordinario di Scienze Agrarie all’Università di Torino e direttore, per dieci anni, di quell’Istituto di Coltivazioni Arboree che, dalla fondazione della Facoltà, era stato diretto prima dal prof. Giovanni Dalmasso e poi dal prof. Carlone. Paglietta ha ricordato proprio le origini dell’Albarossa, figlio delle decine di incroci che il prof. Dalmasso ottenne nella ricerca di nuove varietà di uve che potessero diventare grandi vini.

Con il passare degli anni tutti questi incroci vennero selezionati in modo da portare avanti solo quelli che offrivano i caratteri migliori e più promettenti, giudicati degni di essere presi in considerazione. È a questo punto che a Paglietta fu chiesto anche di dare un nome al nuovo vino, e il professore scelse “Albarossa”, per rendere omaggio alla città di Alba, nella quale aveva passato una decina di bellissimi anni.
Un omaggio sicuramente ben riuscito, dato che, oggi, il nome “Albarossa” inizia a essere conosciuto a livello internazionale e, soprattutto, non pare avere nessuna intenzione di fermarsi.
 Grappoli del vitigno Albarossa

 
 

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