La vera natura del dolcetto del Drago e la genesi di un mito
Tino Colla racconta uno dei vini –
simbolo della storica azienda di San Rocco Seno d’Elvio: la storia, il
territorio, la nascita di uno dei vini più amati da Luigi Veronelli
Era
il 1960 circa, e lo scenario era quello della Cascina Drago del Dott. Luciano
Degiacomi a San Rocco Seno d’Elvio, Alba. Su, sulla punta della collina c’era –
e ancora c’è – una vigna quieta, stranamente avvolgente, silenziosa e in un
certo suo modo esotica, diversa. Una vigna dove la vite è bassa per le raffiche
che le impediscono di crescere liberamente, e la vegetazione è piegata dal
vento, tanto che è perennemente inclinata anche quando l’aria non si sente. E
quando tira è un’aria salmastra, marina, che attraversa per canali impervi
l’entroterra ligure ed arriva alla punta del Drago. Qui, nella tarda primavera,
nelle zone più riparate nascono e proliferano da sempre le orchidee selvatiche,
un’autentica rarità, fiorellini di un lilla delicato che riescono a
sopravvivere solo in ambienti particolarmente salubri.
Sul
Bricco del Drago c’è una vigna di dolcetto; e anche il dolcetto non è un
dolcetto qualsiasi. Impiantato a metà degli anni ‘60 da Luciano Degiacomi,
precedente proprietario del podere, da subito il frutto del Drago rivelò un
carattere fuori dagli schemi: un’uva dolcetto che dava origine ad un vino
selvatico, potente, ricco, assolutamente troppo esuberante. Un vino non adatto
ad essere prodotto in purezza né ad essere venduto secondo consuetudine, l’anno
successivo alla vendemmia. Si tentò allora di invecchiarlo in legno per
educarlo ed ingentilirlo; e ancora il risultato fu impressionante ma non
adeguato: ancora troppo selvaggio e indomabile. Del tutto diverso dal dolcetto
buono, ma decisamente più negli schemi, a cui il Piemonte era abituato.
Il
successivo tentativo di educare il dolcetto del Drago fu quello che andò a buon
fine: scartata la possibilità di vinificarlo e metterlo in commercio subito,
scartata l’ipotesi di invecchiarlo da solo, rimaneva da percorrere la strada
dell’assemblaggio: unirlo cioè al nebbiolo, con l’obiettivo che non era, come
normalmente si pensa, quello di dare maggiore struttura. La struttura c’era;
ciò che mancava era la finezza, l’eleganza che solo il nebbiolo avrebbe potuto
portare soprattutto al naso.
Nacque
così il Bricco del Drago, uve dolcetto e nebbiolo allora ancora in proporzioni
variabili, alla ricerca del perfetto equilibrio dell’una e dell’altra. La
percentuale che oggi Poderi Colla mantiene ormai da un paio di decenni prevede
il 15% nebbiolo e l’85% dolcetto.
“Un
vino”, come afferma Tino Colla, “che ha ormai più di quaranta vendemmie,
prodotto per la prima volta da me e mio fratello Beppe nel 1994, assemblando i
due vini esattamente in questa proporzione. Perché il dolcetto da cui nasce
il Bricco del Drago è così diverso da tutti gli altri? Perché ha una potenza,
una possibilità evolutiva e una longevità così particolari ed uniche? Non lo
so. Sarà il vento marino che sferza la collina, sarà il terreno, che noi in
dialetto abbiamo identificato come vigna delle macie, cioè delle macchie, per
la sua disomogeneità nella composizione (sabbia, scheletro, tufo, distribuite
in modo assolutamente variegato sulla punta della collina, di origine
paleolitica); o forse l’esposizione. Chissà. Ciò che è certo è che il Bricco
del Drago è un vino fuori dall’ordinario, assolutamente inaspettato, né
dolcetto né nebbiolo. Un vino da invecchiamento che ricorda un taglio
bordolese, con cui spesso, quando è invecchiato, viene confuso in degustazione
alla cieca”. Così particolare da essere l’unico vino da tavola ad
aver ottenuto la delimitazione della zona di produzione con Decreto del
Presidente della Repubblica, n. 196 del 1987.
Il
Bricco del Drago fu il primo – e forse unico - vino ad utilizzare la denominazione
di origine semplice, che faceva già categoria a sé quando Luigi Veronelli
per primo lo citò insieme a Biondi Santi, riconoscendone già allora la natura
ibrida, complessa e fuori dagli schemi che ancora oggi lo caratterizza.
Oggi sul mercato c’è l’annata 2012: un vino potente ma equilibrato e godibile. Un dolcetto che non ha nulla a che fare con il dolcetto così come lo si immagina comunemente. Al naso troviamo frutta rossa matura e spezie. E poiché non è immesso sul mercato troppo giovane ha una tannicità evoluta e morbida coperta dalla vinosità. L’invecchiamento in bottiglia prevede circa due anni in botti di rovere di slavonia, mentre il taglio si fa subito, solitamente prima della fine dell'anno di vendemmia.
Un mito che va assaggiato, raccontato, compreso, che assume un significato profondo solo se viene capito nella sua essenza.
Oggi sul mercato c’è l’annata 2012: un vino potente ma equilibrato e godibile. Un dolcetto che non ha nulla a che fare con il dolcetto così come lo si immagina comunemente. Al naso troviamo frutta rossa matura e spezie. E poiché non è immesso sul mercato troppo giovane ha una tannicità evoluta e morbida coperta dalla vinosità. L’invecchiamento in bottiglia prevede circa due anni in botti di rovere di slavonia, mentre il taglio si fa subito, solitamente prima della fine dell'anno di vendemmia.
Un mito che va assaggiato, raccontato, compreso, che assume un significato profondo solo se viene capito nella sua essenza.
La
famiglia Colla è felice di ospitare in cantina tutti coloro che vorranno
conoscere più a fondo uno dei più grandi miti del panorama vinicolo piemontese.
Il "Bricco del Drago" dove nascono le uve dalle quali viene prodotto l'omonimo grande vino |
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