Aumenta la cultura del vino e la
ricerca della qualità: la “premiumization” è una tendenza che si sta
consolidando in molti mercati e i dati raccolti dalla ricerca ne sono la
testimonianza. Negli Stati Uniti, nell’ultimo quinquennio, il prezzo dei vini
fermi imbottigliati importati è cresciuto di quasi il 10% e, se si fa
riferimento alle vendite off-trade, il posizionamento dell’Italia è tra i più
alti tra i vini di importazione
Istituto Grandi Marchi e Nomisma
Wine Monitor ha presentato i risultati di una ricerca sul consumo dei fine
wines negli Stati Uniti. Accanto ai dati su import e vendite che mostrano
un’evidente tendenza al consumo di vini di “alta qualità”, lo studio ha
condotto un’indagine su 2.400 consumatori di vino dei 4 Stati federali maggiori
importatori di vino italiano (New York, Florida, New Jersey, California) al
fine di comprendere, da un lato, i fattori che definiscono un “fine wine” e i
modelli che guidano il consumo di questi vini, dall’altro il posizionamento del
nostro paese in questo segmento attraverso l’identificazione di perception e
reputation dei “fine wine” italiani presso lo stesso consumatore statunitense.
“I dati che abbiamo raccolto indicano la via maestra al
vino italiano: la tendenza positiva deve ricordarci di lavorare con
grande determinazione ed efficacia alla ricerca del corretto posizionamento di
pregio per il nostro prodotto, lavorando sempre più per la crescita del
valore perché i volumi discendano da un corretto approccio al valore e non
da una logica di price competition” afferma il Presidente Mastroberardino.
“Il primato sui volumi non può essere un tema da celebrare a prescindere, dato che
i volumi senza il valore portano allo sgretolamento della filiera per mancanza
di capacità di remunerare gli investimenti effettuati”.
Gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato al mondo
per consumi di vino e dalle potenzialità di crescita ancora rilevanti. Nel
corso degli ultimi dieci anni, i consumi sono aumentati a volume del 28%
arrivando a 32 milioni di ettolitri; nonostante ciò pesano ancora per
appena il 10% sul consumo totale di bevande alcooliche (per l’80% si tratta di
birra). Inoltre, il 44% di tutti i consumi di vino si concentrano in appena
5 Stati: New York, California, New Jersey, Texas e Florida.
Circa un terzo dei consumi statunitensi di vino si
riferisce a prodotti d’importazione. Anche in questo caso si evince nel
decennio una significativa crescita delle importazioni pari al 33%,
arrivando ad un valore di circa 5,5 miliardi di dollari. Rispetto alle
principali tipologie di vino importato, la quota dell’Italia è passata dal
31% al 34% nel caso dei vini fermi imbottigliati e dal 13% al 32% nel caso
degli spumanti.
“Gli Stati Uniti al pari di molti altri mercati
internazionali stanno vivendo una rilevante fase di “premiumisation” dei
consumi di vino” dichiara Denis Pantini, responsabile di Nomisma Wine
Monitor. “Basti pensare che, nel corso dell’ultimo quinquennio, il
prezzo dei vini fermi imbottigliati importati negli USA è cresciuto di quasi il
10%, passando da 5,32 $/litro ai 5,82 $/litro del 2017, così come, nel
corso dell’ultimo anno, le vendite di vini fermi nel canale off-trade con
prezzo superiore a 20 $ a bottiglia sono cresciute di quasi l’8%, contro il
2,4% dei vini con prezzo inferiore”.
La ricerca mette in evidenza come l’Italia, in questo
contesto, abbia un enorme vantaggio competitivo rispetto ad altri paesi
importatori dato dal fatto che il nostro paese gode di una reputazione molto
elevata presso il consumatore americano. Il vino italiano piace soprattutto
quando rispecchia il nostro stile, cioè l’Italian style, che è collegato,
secondo gli intervistati, ai concetti di bellezza, moda e lusso.
E in effetti, il posizionamento dell’Italia nelle fasce
“premium” in termini di quota sulle vendite nel canale off-trade è tra i più
alti in riferimento ai vini di importazione. Nel caso dei vini rossi fermi,
a fronte di una incidenza complessiva del 7% sulle vendite totali, la quota di
mercato supera l’8% in tutte le fasce di prezzo superiori ai 20 $ a bottiglia;
ma non solo: arriva a superare il 10% nella fascia di prezzo da 31 $ e oltre.
A questo proposito è interessante evidenziare come, in virtù di questo “alto”
posizionamento, il prezzo medio dei vini rossi italiani venduti nell’off-trade
è in linea a quello dei rossi francesi (12,3 $ vs 12,4 $). Anche nel caso
dei vini bianchi fermi a fronte di un’incidenza sulle vendite della tipologia
del 13%, la relativa quota di mercato arriva al 42% nella fascia 20 – 24,99$ a
bottiglia.
Tra i diversi risultati emersi, la survey
ha messo in luce
· come il 54% dei consumatori
di vino americani dichiara di preferire vini di produttori noti, famosi; questa
quota cresce fino al 67% tra i “frequent user”, tra coloro cioè che consumano
vino almeno una volta a settimana;
· che il vino viene scelto
soprattutto in base al brand (il 18% indica questo fattore come principale
criterio di acquisto), e che l’importanza del brand aumenta fino al 26% tra i
criteri di scelta dei “fine wines”;
· che il “fine wine” ideale per
il consumatore americano è quello prodotto da un’azienda ben consolidata e con
esperienza;
· che il binomio “fine wine” e
“Made in Italy” riscuote grande successo negli Stati Uniti: 1/3 dei consumatori
di vino indica «Italia» quando pensa ai produttori di vini di alta qualità;
· che Barolo, Amarone e
Brunello di Montalcino i “fine wine” italiani più citati spontaneamente, così
come Piemonte e Toscana sono le regioni che vengono più spesso ricordate,
seguite da Veneto e Sicilia.
Dunque, reputation
molto elevata per i vini italiani. Questo deve
essere il punto di partenza per lanciare
la sfida del valore ai
produttori italiani tutti.
Istituto del Vino Grandi
Marchi:
Alois Lageder, Argiolas,
Biondi Santi Greppo, Cà del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè Malvolti, Donnafugata,
Ambrogio and Giovanni Folonari, Gaja, Jermann, Lungarotti, Masi, Marchesi
Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San
Guido and Umani Ronchi.
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